Jessica,
project manager di Specchio dei tempi ad Hargeisa,
ci ha scritto questa bella storia
È un nuovo giorno di supervisione a uno dei campi degli sfollati interni a cui offriamo il nostro servizio di cliniche mobili pediatriche, grazie al supporto de La Fondazione Specchio dei Tempi.
Arrivo al nuovo centro di salute di Digaale, un campo che ospita circa 15000 sfollati.
Inizio a parlare con la Team Leader del centro, la quale mi racconta che da due settimane siamo ospiti di questa nuova struttura. Visitiamo le stanze, mi presenta ai nuovi operatori, ma ad un certo punto vengo chiamata dalla dottoressa della nostra clinica mobile. È urgente, una bambina non respira.
Questa è la storia di Leila, appena 7 giorni, arrivata la sera prima in arresto respiratorio al centro di salute. Ora è di nuovo in apnea, e noi con lei. Infermieri e dottori le somministrano l’ossigeno, ma mi dicono che dobbiamo trasferirla urgentemente in ospedale.
L’ospedale pediatrico, però, si trova a circa 40 minuti di auto (quando non c’è traffico), e nelle calde mattine del Corno d’Africa, qui ad Hargeisa, c’è sempre traffico.
Non possiamo trasportarla con l’ossigeno poiché avrebbe bisogno della corrente.
Recuperiamo un ambu e una delle infermiere si rende disponibile a fare il viaggio insieme a me verso l’ospedale.
Avvisiamo l’ospedale del nostro arrivo, loro sono pronti ad attenderci. È una corsa contro il tempo, stacchiamo Leila dal macchinario, che al momento le somministra l’ossigeno, l’infermiera la prende in braccio e seguite dalla mamma, saliamo in auto. Direzione: ospedale pediatrico.
Accendo il navigatore, sperando che miracolosamente mi segnali strade alternative per evitare quelle trafficate, inutile: 60 minuti. Mi giro, vedo lo sguardo della mamma di Leila composto, occhi lucidi, ma composta, ferma, in attesa.
L’infermiera insuffla l’aria nei polmoni della bambina: 1001, 1002, 1003 etc..
Dopo circa 15 minuti siamo nell’ingorgo di Hargeisa. Polvere, automobili, camion, capre, tutti ostacoli che rallentano il nostro percorso.
Eppure raggiungiamo l’ospedale, Leila è ancora viva, con la saturazione bassissima, ma ancora viva.
Scendiamo dalla macchina e letteralmente corriamo nel reparto. Medici e di infermieri la circondano e iniziano tutte le procedure e soprattutto la ricollegano all’ossigeno.
Piano piano la saturazione nel sangue risale, piano piano Leila si stabilizza.
Una volta stabilizzata io e l’infermiera usciamo dall’ospedale, è tempo di rientrare al campo, la guardo e le chiedo come sta, il suo volto si distende e sorridendo mi dice “eravamo davvero in una situazione difficile, ho fatto tutto il possibile per salvarla usando solo un ambu. Dopo tutto ciò che è successo, posso dire di essere felice”.
Leila è rimasta qualche giorno in ospedale, ricevendo tutte le cure necessarie gratuite grazie ai nostri dottori e infermieri. Oggi sta bene ed è tornata a casa.
Tutte le volte che vi è un’urgenza ripenso alle nostre ambulanze italiane, al nostro servizio 112 così efficiente e tempestivo.
Tutto questo lascia poi l’immagine alla realtà di adesso: auto non attrezzate per un trasporto medico di urgenza, strade sconnesse, polvere…
Ma oggi è andata bene così, oggi abbiamo salvato una vita.