Angelo Conti
Il 26 dicembre 2004, alle 10 del mattino, stavo entrando nella Cronaca, al primo piano di via Marenco, la vecchia sede de La Stampa, quando Marco Marello, allora il mio capo diretto, mi chiamò nel suo ufficio: “E’ successa una tragedia immane: lo tsunami ha colpito l’Asia. Specchio dei tempi interverrà subito. Tu preparati a partire, ma cerca prima di capire dove andare”. Mentre il piccolo staff di Specchio preparava il lancio della sottoscrizione (nel 2004 non c’erano i social e l’unica strada era la carta stampata) che sarebbe avvenuta, con grandissimo risalto, con l’uscita del giornale del giorno dopo, Marello decise di far comunque aprire subito lo sportello di Via Roma 80 dove i lettori già cominciavano ad assieparsi per sostenere una sottoscrizione che non era stata ancora nemmeno lanciata. Il mattino dopo ero a Malpensa, per imbarcarmi su un 747 della Thai che mi avrebbe portato a Bangkok, città baricentrica per organizzare gli aiuti. Lì, il giorno dopo, mi raggiunse la telefonata di Paolo Bernabucci, presidente del Gus, il Gruppo Umana Solidarietà di Macerata. Chiamava dallo Sri Lanka: “Angelo – mi disse – qui è un dramma enorme. Questa gente non ce la farà se non la aiutiamo subito a riprendere il lavoro… Il maremoto ha distrutto centinaia di barche ed i pescatori e le loro famiglie non hanno più lacrime”.
Presi il telefono e chiamai Torino, svegliando Marello che, oltre ad essere caporedattore, era in quegli anni anche il segretario della Fondazione Specchio dei tempi. “Marco – gli dissi – ricostruiremo tutto quello che potremo con il denaro che ci stanno versando i lettori, ma intanto compriamo subito barche”. Lui era un giornalista vecchio stampo, capiva le situazioni in un attimo e rispose: “Tutte quelle che possiamo”. Il 29 dicembre mattina ero in Sri Lanka. Con Paolo Bernabucci ci presentammo nei due cantieri che in Sri Lanka producevano barche da pesca e ne ordinammo e pagammo complessivamente 98, complete di reti e motori. Dal giorno dopo, e per tre mesi, quei due cantieri avrebbero lavorato solo per noi. E intanto i nostri volontari, d’intesa con le associazioni dei pescatori e col ministero della pesa cingalese, iniziarono – fra Galle e Matara – ad individuare chi aiutare. La prima barca fu consegnato il 15 gennaio. Poi una al giorno, nei due mesi e mezzo successivi. Oggi circa 70 di quelle barche sono ancora in servizio…. Solo poche hanno patito incidenti di mare e sono andate perdute. Tamantha Rukmal Pereira, pochi mesi fa, ci ha rinnovato il suo ringraziamento: “Era il 12 febbraio, ricordo ancora il giorno. La notte prima non dormimmo, né io né i miei bambini, tanta era l’emozione. Quella barca ha salvato la mia famiglia ed anche quella di mio fratello perchè, in questi anni, con i proventi della pesca siamo riusciti ad acquistare anche una seconda barca. Vi saremo riconoscenti per sempre”.
Le 98 barche in Sri Lanka (e subito dopo anche diversi tuk tuk destinati agli autisti che li avevano persi nel maremoto) furono il primo obiettivo, ma subito dopo – in contatto con il monsignor Jospeph Prathan, vescovo salesiano di Surat Thani, nel sud della Thailandia, aprimmo un villaggio sfollati a Kao Lak, poi mantenuto attivo per quattro mesi. Ed iniziammo a ricostruire: le tre scuole in Sri Lanka, riedificate dalle fondamenta, furono terminate in meno di un anno, entrando in servizio nell’autunno 2005. Solo per la scuola di Galle ci fu un certo ritardo perché i genitori dei bambini temevano fosse troppo vicina al mare. Una psicosi che superammo erigendo un muraglione di protezione. E intanto, in Thailandia, aprivamo il cantiere per la scuola professionale di Surat Thani (costruita in quindici mesi, per 500 ragazze e ragazzi) e soprattutto quello per l’orfanotrofio di Betong, al confine fra Tailandia e Malesia, subito occupato da una ventina di orfani dello tsunami (i poveri abitanti di questa zona andavano a fare la stagione lungo il mare come cameriere e bagnini: lo tsunami ne uccise decine, lasciando orfani i loro bambini). Ed aprimmo, in quelle settimane, anche il nostro cantiere in India a Vellappallam, nel Tamil Nadu, che avrebbe ospitato, dopo un anno e mezzo, l’asilo e gli ambulatori medici. E in Sri Lanka partiva l’operazione Villaggio di Ibbawale (sette immobili diversi), che avrebbe ospitato prima gli invalidi del maremoto, e poi le bambine abusate ed abbandonate (che lo popolano ancora, con il continuo sostegno di Specchio dei tempi ed ora di MedAcross)
Specchio si trovò così a gestire, in contemporanea, una quindicina di cantieri in Paesi lontani ore di volo fra di loro, in uno scenario che ci impegnò per molti mesi. Molte di queste realizzazioni hanno poi proseguito di vita propria, mentre altre (soprattutto il Villaggio delle Bambine di Ibbawale e l’Orphanage di Matara in Sri Lanka) sono ancora aiutate e sostenute.
Tutto questo cominciava vent’anni fa, esattamente oggi. Con l’alluvione del Piemonte del 1994 e la lotta al Covid del 2020, il “progetto tsunami” è stato certamente l’impegno più complesso affrontato da Specchio dei tempi nei suoi 70 anni di vita. Rimarrà un esempio di come si può intervenire in qualsiasi parte del mondo, in tempi brevissimi e con eccezionali risultati. Superando fatiche, paure e burocrazie. Perché chi soffre non può aspettare e chi aiuta deve sempre guardare solo al risultato finale. Come abbiamo fatto in questi anni, lasciando un forte segno ovunque.