Articolo di Beppe Minello, pubblicato su “La Stampa” del del 24 febbraio 2019
Maria ha 28 anni, un sorriso che la illumina e una figlia di 8, Chiara, vivace come sanno esserlo i bambini felici a prescindere. Maria però, ha perso la speranza. La speranza di avere un lavoro che non sia nel retrobottega di qualche ristorante pagata in nero, o magari 20 euro al giorno – sempre in nero, sia chiaro – per riparare iPhone . La speranza di abitare una casa che sia un po’ più grande dei 27 metri quadrati che occupa oggi per 320 euro al mese: «Il padrone ci ha compreso 50 euro per una cantina che non ho mai visto», sorride. In realtà, questa mamma ragazzina che nel disastro generale della sua vita concentra ogni fatica sulla piccola Chiara che deve andare a scuola, deve poter avere tutto – o quasi – ciò che hanno i suoi amichetti presto perderà anche la casa perché a novembre è stata sfrattata per morosità e ora attende l’arrivo degli ufficiali giudiziari.
«Dal gennaio 2018 – ricorda – non ce l’ho più fatta a stare dietro all’affitto. Ho perso l’ultimo lavoro, cacciata dal ristorante dove facevo di tutto mentre il contratto parlava solo di pulizie». Licenziata perché era finita l’ennesima storia sbagliata con un uomo che, oltre a trovarle l’impiego, aveva garantito per lei anche per la casa. Andato via l’uomo, se n’è andato il lavoro e se n’è andata la casa. La prima di Maria, nata in Italia da genitori bosniaci, quart’ultima di nove tra fratelli e sorelle. Spiegare perché, lei che è nata qui sia pur da genitori non italiani (il padre è morto poco dopo la sua nascita), oggi si trovi con il permesso di soggiorno scaduto è impresa degna di Kafka. Non avere il prezioso documento, per Maria significa non potere accedere a nessun lavoro regolare, anche il più umile. Lo sfratto poi, privandola della residenza, le impedisce di richiederlo. Senza, anche ottenere quel po’ di assistenza là dove ne avrebbe diritto diventa impresa impossibile.
Maria, per la burocrazia, è un fantasma. Di lei si sono occupati, con le difficoltà che dicevamo, i servizi sociali e, occasionalmente, la generosità di professionisti che l’hanno indirizzata a volte bene altre male. Bene quando l’hanno portata dal giudice dei minori e sono riusciti a farle ottenere un permesso di 24 mesi – scaduto a settembre – per assistere la figlia. Male, quando le hanno suggerito, sempre per ottenere un pezzo di carta su cui costruire uno straccio di vita, di chiedere all’Ufficio stranieri la documentazione della sua disoccupazione con il risultato di vedersi intimare dalla questura di presentarsi per la notifica del decreto di espulsione. «Espulsione? Ma dove? Sono nata e cresciuta qui» ride, amara, Maria. Oggi gira con il terrore che la fermi la polizia, alla quale può sperare di sfuggire solo esibendo il ricorso contro l’espulsione. Il tutto, in attesa del 12 marzo quando sempre il giudice dei minori valuterà se concederle ancora il permesso di soggiorno per accudire Chiara.