Il Natale di Mondo Aeroporto: “Ciao Nonno, volo via con te”

Anche Daniel Mazza, il travel blogger che ha inventato Mondo Aeroporto, aderisce alla campagna #ForzaNonni: il grande abbraccio virtuale di Specchio agli anziani, per sostenere la raccolta fondi a favore delle Tredicesime dell’Amicizia. Tutti possono condividere ricordi dei loro nonni su Instagram, taggando @specchiodeitempi. I più belli saranno pubblicati dalla fondazione. Daniel partecipa all’iniziativa con un racconto tratto dal suo libro Destinazione Mondo (Sperling & Kupfer, 17,90 euro).

di Daniel Mazza

Il 5 luglio ricevo una telefonata dall’Italia. La mamma non riesce a parlare, mi passa mio padre: il nonno se n’è andato a sessantanove anni, un infarto lo ha sconfitto. Non voglio sentire, non voglio capire, tutto sembra fermarsi, un momento cristallizzato in una spada di dolore che mi trafigge. Certe notizie, quando sei lontano, ti feriscono due volte. La preoccupazione mi aveva sfiorato prima di partire, ma era volata via in un attimo perché il sorriso e la voglia di vivere del nonno sembravano renderlo invincibile e facevano svanire i cattivi pensieri.

Mio caro nonno, tu che sei stato il mio secondo padre, tu che non mi hai mai sgridato nemmeno quando facevo qualcosa di sbagliato, tu che con una risata passavi sopra a ogni mia marachella, tu che mi proteggevi sempre e mi perdonavi tutto, l’ultima volta che ho visto il tuo sorriso è stato attraverso lo schermo di un computer, mentre mi dicevi di tagliarmi la barba e urlavi alla nonna di stare zitta altrimenti non mi sentivi. L’ultima volta che ti ho abbracciato me ne stavo andando dall’altra parte del mondo, tu speravi che non partissi perché mi avresti voluto sempre vicino, ma so che eri felice ogni volta che lo ero io. E ora io sono qui e non posso fare nulla, nemmeno abbracciare la mia famiglia, adesso che ha più bisogno di me.

Mia sorella mi manda questo messaggio: «Non sentirti male o in colpa se oggi non c’eri fisicamente, tu sei parte di me, quindi con me oggi c’eri anche tu!». Ma non riesco a non sentirmi in colpa, io non ero con loro, non ero con te, nonno, non ho nemmeno potuto salutarti o farti un’ultima carezza, e questo mi fa soffrire.

Non mi dispero di averti perso, perché sono felice di averti vissuto. Sono orgoglioso di portare il tuo cognome, perché tutti quelli che ti conoscevano non potevano che amarti. Il tuo sorriso entrava nel cuore, per questo sono felice quando qualcuno mi dice che ho un sorriso contagioso. Sono simile a te in tante cose e spesso riconosco in me atteggiamenti che erano tuoi, per esempio quando ascolto in silenzio – perché mi piace farlo – ma sempre pronto a ridere e a scherzare come te. Mi hai insegnato con l’esempio a essere forte in ogni situazione, perché tu sei caduto e ti sei rialzato mille volte. Non sarà questo tuo scherzetto a farmi mollare. Ti voglio bene, e ogni notte proverò a volare via con te per stare ancora insieme.

Qualcosa è cambiato dentro di me. Non voglio più stare qui e nemmeno andare altrove, il mio entusiasmo per l’avventura americana è svanito, del viaggio a Auckland non mi importa più niente. Le giornate non passano mai, non faccio che pensare alla mia famiglia. Voglio tornare a casa. Ripartirò da dove ho lasciato per poi, lo so, ricominciare a sognare qualcosa di diverso. Vivrò il presente, proprio come ho fatto qui dal momento in cui sono sceso dall’aereo, ma non mi guarderò indietro, non tornerò sui miei passi, mi darò il tempo per ricaricare le batterie del mio cuore, pronto a immaginare una nuova meta. Da qualche parte ho letto che il parabrezza è più grande dello specchietto retrovisore proprio perché la strada che abbiamo davanti è più importante di quella che ci lasciamo alle spalle. Farò così, guarderò avanti, senza rimorsi né rimpianti.

Fra pochi giorni il nonno avrebbe compiuto settant’anni. Decido di festeggiarlo tatuandomi il suo ricordo sulla pelle, anche se è già indelebile dentro di me. Lui diceva sempre che la vita è un azzardo, quindi penso a una carta da gioco e scelgo subito l’asso di cuori, quale carta migliore per rappresentarlo? Per me lui era un asso. Mi faccio il tatuaggio all’interno del braccio sinistro, per poterlo abbracciare stringendolo sul cuore.

Poi gli scrivo una lettera virtuale, sicuro che mentre batto sui tasti lui mi stia guardando. Mi piace pensare che queste righe lo raggiungeranno quando sta ridendo, con quella risata un po’ rauca di chi nella vita ha fumato troppe sigarette. Ciao, nonno, tra poche ore qui in Australia sarà il tuo compleanno. Ora che non ci sei più, l’unico regalo che posso farti è quello di tenerti per sempre vicino al mio cuore, impresso sulla mia pelle. Ogni volta che ti chiedevo: «Com’è, nonno? Come stai?» tu mi rispondevi sempre: «È così», con quel sorriso rassicurante. Adesso, ogni volta che avvicinerò il braccio al petto sentirò il tuo: «È così» rimbalzarmi sul cuore e sarà «così» per sempre. Buon compleanno, nonno!

Il Natale di Bonansea: “Forza nonni, sono con voi!”

Barbara Bonansea, La Stampa, 18/12/2020

Forza nonni: non siete soli! Siamo con voi. Sono con voi. Si avvicina il Natale e in questi giorni così difficili il mio pensiero va in modo particolare alle persone anziane. Cari nonni, vorrei tanto abbracciarvi di persona: non si può, conosciamo tutti la situazione. Per questo mi unisco al grande abbraccio che vi sta portando Specchio dei tempi con le Tredicesime dell’Amicizia, il progetto che ogni anno offre aiuto economico ai 2000 anziani più poveri di Torino e del Piemonte. Fa male sapere che nella nostra città ci sono persone che non riescono a pagare la spesa, il riscaldamento o la bolletta. E rischiano di rimanere al freddo e senza luce. Quelle persone hanno gli stessi occhi e la stessa età delle mie meravigliose nonne, Rita e Maria. Ma non hanno nessuno accanto.

Aiutateci ad aiutare gli anziani. 

Per questo chiedo a tutti i lettori di aiutarmi: facciamoci sentire. Diciamo insieme #forzanonni! Specchio dei tempi sta raccogliendo su Instagram le storie degli anziani che portiamo nel cuore. Potete condividere le vostre taggando la fondazione. Io voglio raccontarvi di mia nonna Rita, che ha superato gli ottant’anni da un po’ ma ha la vitalità di una trentenne. Abita a cento metri da casa mia, non ha la patente e dice sempre quello che pensa. Rita dà tutto, a cominciare da se stessa, alla famiglia. Si prodiga per i nove bisnipoti, prepara cene e cenette: dall’insalata russa ai tajarin, dalle verdure in sughetto alla giardiniera. E sempre un bicchiere di buon vino rosso. Le piace parlare in dialetto e a me chiama sempre “mus brutt”, muso brutto, per ridere. Da quando è morto il nonno, ha triplicato le sue forze, le sue energie, la sua voglia di vita. Nonna Rita è unica. Ma ogni nonno è unico! E nessuno, nessuno, merita di essere lasciato solo. Soprattutto a Natale.

L’ex cuoco che non può permettersi il biglietto del bus

di Lucia Caretti, La Stampa 6/12/2020

Cucina, letto, televisione. Le giornate di Alfonso sono “tutte uguali. Da quando c’è il Covid, non posso più uscire. Nemmeno vicino a casa”. Alfonso ha paura: ha 73 anni, il diabete e problemi di cuore. Abita in periferia e per lui anche andare a Cuneo è un’impresa. Deve fare tre chilometri di strada. Troppi per camminare: “Mi stanco subito”. Troppi persino per prendere il bus. “Il biglietto costa 3 euro. Non me lo posso permettere”. Così Alfonso passa il tempo sulla sua sedia, a contare i risparmi. “Come si fa con una pensione da 649 euro? Devo comprarmi da mangiare. Pagare l’affitto, le bollette, le medicine”.

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L’ultima stangata sono le spese condominiali, 950 euro. Per metà le coprirà con la Tredicesima dell’Amicizia di Specchio dei tempi, la carezza dei lettori de La Stampa. Un progetto con cui dal 1976 la fondazione abbraccia gli anziani più fragili. L’obiettivo è raccogliere 1 milione di euro entro Natale, per donare speranza a 2000 nonni come Alfonso. Ognuno riceverà un assegno di 500 euro. Ognuno ha la sua stessa storia di fatica e abbandono.

“Sono scappato di casa quando avevo 12 anni” racconta con accento pugliese. “C’era fame, non c’era lavoro, e avevo una zia vicino a Torino. L’ho raggiunta e mi ha spedito in carrozzeria. Ho fatto l’apprendista, poi il muratore e i turni in fonderia”. Ecco perché quelle cicatrici sul braccio. Le mani invece raccontano la sua seconda vita da chef. “Ho girato tutte le cucine del Piemonte” spiega con orgoglio. Quelle di montagna, da Limone a Sestriere: Alfonso ha dato da mangiare a generazioni di sciatori. E’ stato nei rifugi sulle piste, nelle pizzerie e nei ristoranti. “Finito il servizio mi mettevo a suonare. La musica e la cucina sono le mie due grandi passioni”.

Per questo ha appeso una vecchia chitarra vicino al divano. E ha trascritto le sue ricette in un’agenda che custodisce come un tesoro. Quei due ricordi lo tengono vivo. “Sono già morto due volte. Sono collassato in casa e mi sono salvato per un pelo”. Colpa di varie malattie e della più terribile. “Sono solo come un cane” confessa. “Mio fratello, il mio unico amico, non c’è più. Gli altri parenti sono lontani e stanno peggio di me. Non possono darmi una mano. I vicini? Buongiorno, buonasera, ma non c’è solidarietà. L’unico vero aiuto che ricevo è quello di Specchio dei tempi”.

Dopo lo sfratto, per un anno è stato in una casa protetta del Comune. Poi ha ottenuto questo piccolo appartamento dove entra appena un filo di luce. C’è una tapparella rotta, il peperoncino sul balcone, una cucina attrezzata con vecchi tegami e fornelli di recupero. “Mi sono sempre arrangiato. Quando faccio la spesa guardo ogni singolo prezzo, so che i soldi devono essere usati bene e non puoi fare il passo più lungo della gamba. Non ho mai bussato a nessuna porta, ma ora sono in difficoltà e ci metto la faccia. Non mi nascondo. Sono i politici che dovrebbero nascondersi”.

Alfonso è arrabbiato per i pullman che dalle sue parti non passano mai. Per l’operazione all’occhio per cui dovrà attendere altri nove mesi: “Vedo solo nebbia”. E’ arrabbiato soprattutto per l’autonomia negata. “Vorrei andare in ospedale e a farmi la spesa da solo. Invece non posso muovermi e devo aspettare che venga l’assistente sociale ad accompagnarmi, una volta alla settimana”. Ecco perché quell’ossessione per la patente: “Non ce l’ho più. Mi piacerebbe provare a riprenderla. Vorrei riconquistare un po’ di libertà. Spero che Babbo Natale mi regali il corso”. O almeno l’abbonamento del bus.

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Antonio e la pensione che dura solo tre giorni: “Aiutatemi”

di Lucia Caretti

Antonio lavorava sui vagoni letto. Adesso dice di essere diventato un matematico: ha l’ossessione per i conti. Ogni mese i numeri sono gli stessi. “Appena arriva la pensione mi tolgono 220 euro per la separazione. Ne restano 515. Devo pagare l’affitto, gli arretrati e la luce. In tre giorni non ho più nulla”. Quando Specchio dei tempi va a trovarlo ha in cassa soltanto 15 euro e mancano venti giorni all’accredito successivo. È una mattina di ottobre, c’è il sole e Natale sembra lontano. Non per Antonio. “Aspetto la vostra Tredicesima con ansia. Quando la consegnerete?”.

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In questi giorni, come sempre: la Fondazione sta erogando centinaia di sussidi da 500 euro ciascuno, per gli anziani più fragili del Piemonte. Anziani come Antonio, che è stato per trent’anni sui Wagons-Lits e poi in una cooperativa. E riceve la Tredicesima dell’Amicizia da quando il treno della sua vita è deragliato. “Sono stato sfrattato – racconta – e per un lungo periodo ho sofferto tra dormitori e pensioni. Ho passato le pene dell’inferno, ma ho lottato e sono riuscito ad avere di nuovo un alloggio”. Quello dove abita ora: un buco nel centro città, in un palazzo popolare nascosto tra le vie più eleganti di Torino. Le pareti sono tinteggiate a metà, colpa di una gamba che fa male. Le bollette da saldare sono impilate sul piccolo tavolo, colpa di quella pensione troppo bassa. A due passi c’è “la casa più bella del mondo”, una famosa residenza extra lusso pluripremiata. È tutto così vicino, eppure così distante.

“Ho 73 anni e ci metto la faccia” continua Antonio sfogliando il quaderno delle spese. “Non mi vergogno, non piango, sono sincero. Questo mese ho pagato 200 euro di luce, se no mi staccavano lo scaldabagno. Ho degli affitti arretrati. I vestiti? Me li hanno donati. Nei confronti dei sostenitori di Specchio dei tempi sono debitore in tutto: durante il lockdown a marzo mi hanno regalato il pacco alimentare. Senza la Tredicesima, a dicembre, non saprei proprio come fare”.

La raccolta prosegue e più cresceranno le donazioni, più assegni saranno distribuiti. Le richieste sono già state verificate. Persone come Antonio le preparano con mesi di anticipo: “Ogni anno scrivo una lettera a mano e telefono per ringraziare. Chiedo, senza nessuna pretesa, perché so che non è obbligatorio aiutarmi. Chiedo perché ho bisogno. Chiedo e spero che mi richiamino con una risposta positiva. Anche stavolta è successo. Grazie di cuore”.

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Loescher, niente regali di Natale: “Doniamo tutto per la lotta al Covid”

di Lucia Caretti

Niente panettoni e pacchetti, Loescher ha scelto un Natale diverso: solidale. La storica casa editrice torinese ha deciso di devolvere a Specchio dei tempi tutti i fondi che ogni anno impiega per i regali. Una donazione destinata a sostenere i medici e i malati, che si aggiunge agli oltre 10 milioni di euro che Specchio ha già raccolto per l’Emergenza Coronavirus, e continua a trasformare in aiuti concreti. Anche durante la seconda ondata proseguono infatti le distribuzioni di dispositivi di protezione e di strumentazioni per gli ospedali e i soccorritori, che da mesi ormai si rivolgono alla fondazione per chiedere rinforzi.

“In considerazione della grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo – spiega l’azienda – su proposta della Direzione i dipendenti hanno concordato di rinunciare a dolci e regali che tradizionalmente venivano offerti dall’azienda in occasione delle feste natalizie, e si è deciso di comune accordo di fare una donazione a Specchio dei tempi. La scelta è caduta su questa Onlus perché opera da molto tempo con progetti in ambito internazionale e nazionale, questi ultimi rivolti anche al territorio in cui la fondazione è nata e la casa editrice Loescher è storicamente radicata. Siamo fiduciosi che questo contributo possa portare aiuto e speranza con un intervento concreto e immediato in una realtà locale così colpita dall’emergenza Coronavirus”.

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Covid, così continuiamo ad aiutare i senzatetto di Torino

Di Angelo Conti

L’attività di Casa Santa Luisa di via Nizza 24 non si è fermata. Abbiamo solo trasformato la colazione in refettorio in una colazione da asporto. Ogni mattina i senza dimora ricevono un pacco di viveri e generi di conforto.

Nelle due ore di apertura delle Colazioni, completamente sostenute da Specchio dei tempi, si pensa anche alla biancheria, alle scarpe, ad indumenti caldi, ad accessori per l’igiene personale, a nostri “buoni” per i farmaci, a fotocopie di documenti (ed accompagnamenti negli uffici aperti), a libri da leggere… E da oggi una infermiera è a disposizione, attrezzata anche con saturimetro.

L’eterno lockdown di Luigina: “Mi serve una sedia a rotelle”

di Lucia Caretti

Dalla finestra di Luigina si vede il Castello di Fossano, ma il panorama non le interessa più. “Da cinque anni non esco di casa. Mi tremano le gambe. Rischierei di cadere”. Quelle gambe gonfie, malate e piene di lividi riassumono tutta la storia: Luigina ha lavorato e combattuto. E’ rimasta sola e prigioniera nel suo piccolo appartamento. “Mi servirebbe una carrozzina. Ma per averla gratis bisogna andare dal fisiatra”. E il problema è sempre lo stesso: Luigina non può più uscire e camminare nel mondo.

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Dal letto alla cucina si trascina con una specie di girello: “La mia Cadillac”. La sua tana è una vecchia poltrona nera mezza rotta, dove passa le giornate a cucire ed aspettare. Quando arriva a trovarla Specchio dei tempi, ha preparato dei centrini per la fondazione. Un modo di dire grazie ai lettori de La Stampa che la sostengono da tanti anni con le Tredicesime dell’Amicizia, il progetto a favore degli anziani più poveri. “Questo piccolo dono è un dovere, perché voi fate tanto. Il denaro che ricevo da voi per me è fondamentale. Devo pagare la caldaia, le bollette, le medicine. Ho il diabete, la tachicardia, le piaghe. Vivo con l’assegno sociale”. Meno di 500 euro al mese. “Ho fatto l’inserviente in ospedale e poi ho collaborato con mio marito, traslocatore. Che però non mi ha mai versato i contributi. E mi ha dato tante botte”.

Un giorno se n’è andato e Luigina non ha dubbi: la più grande gioia dei suoi 82 anni è aver divorziato da quell’uomo. Da allora però anche il resto della sua famiglia si è divisa. Una ferita dopo l’altra. Oggi le resta una figlia che la cura con un amore e una dedizione commoventi. “Appena può viene da me, perché purtroppo io non riesco più a fare niente” spiega la donna. “Ma lei a sua volta ha figli e lavoro, e le dico che non può pensare occuparsi solo di me”. Così, inevitabilmente, per molte ore Luigina non ha compagnia e aiuto. Quest’estate è caduta in camera, il telefono era lontano. “Ho iniziato a urlare e il vicino mi ha sentita. E’ entrato dal balcone rischiando di farsi male. Un angelo”.

Luigina ha perso i denti ma non il sorriso. Racconta di una nipotina e del Natale alle porte: “Mi piacerebbe fare tanti regali”. Impossibile. I soldi non bastano e questa donna orgogliosa e rispettosa degli altri, non vuole debiti. Non ne ha mai avuti. Luigina ha una tempra da atleta: è rimasta la ragazzina che a 16 anni vinceva le gare di stile libero. E’ nata a Genova, si è trasferita nel cuneese trent’anni fa. Si porta dentro il mare e nuota in mezzo alla tempesta da tutta la vita. “Mi piace stare allegra, ma quando sono sola spesso mi prende il magone. Non ho fratelli e sorelle. Solo mia figlia e l’aiuto dei donatori di Specchio dei tempi. Li ringrazio davvero con il cuore”.

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Franco, che a 76 anni vive al dormitorio: “Aiutatemi, sogno una casa”

di Lucia Caretti

Al dormitorio funziona così: dalle otto del mattino si può uscire. Entro le 19 bisogna rientrare. Ma persino per stare fuori, e girovagare per la città, serve qualche moneta. Franco non ne ha e rimane sempre qui, in questo rifugio per senzatetto nella periferia ovest di Torino. Franco ha 76 anni e da dodici, ormai, è non ha più una casa. “Sono in attesa di quella popolare. Un affitto? Ci vogliono i soldi della cauzione. Non sono ancora riuscito a trovarli”. Franco era un barbiere. Arriva dalla Sicilia, non sa scrivere, possiede due maglioni ma dice di non aver “bisogno di niente. Mi mancano solo i denti. E i soldi per andarmene da qua”.

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Dalle pensioni più sgangherate ai container di Piazza d’Armi, questo signore magro e diritto ha dormito un po’ ovunque. “Mai per strada” dice con un mezzo sorriso. “Sono fortunato, con il Coronavirus, data la mia età, non penso che mi sbatteranno fuori. Dove sono ora ci sono i bagni, le stanze da due, un piccolo giardino”. Le inferriate intorno. Qualche panchina. “Visite? Ne possiamo ricevere, ma i miei figli si vergognano a venire”.

Tutti gli anziani delle Tredicesime dell’Amicizia (ogni Natale ne aiutiamo 2000, dal 1976) hanno alle spalle famiglie lacerate. Vite normali distrutte da malattie, licenziamenti o liti. Ferite profondissime, conti in rosso, la povertà all’improvviso o quell’eterno trascinarsi da una difficoltà all’altra. Senza l’aiuto di nessuno. Franco non giudica chi lo ha dimenticato, non si piange addosso, spiega soltanto che la sua è “una lunga storia”. Il resto lo racconta con gli occhi: gli occhi di un uomo solo, che non ha perso la speranza. E la capacità di ringraziare.

Questi 500 euro donati da Specchio dei tempi sono fondamentali. Si avvicina il mio obiettivo di trovare una casa. Continuo a mettere soldi da parte”. Ci vogliono mesi, però, con la sua pensione minima. “Prendo 649 euro. Mi sono sempre aggiustato, ma non è facile adesso. Dovrebbero alzarla a 780 euro. Solo così potrei farcela a pagarmi le spese e un piccolo affitto”. Avere un posto, delle chiavi, una porta da aprire e chiudere all’ora che si vuole: “E’ questo che mi manca di più. La libertà”. Ecco perché Franco non si arrende e confida nei sostenitori di Specchio e nei lettori de La Stampa. “Se non mi aiutate voi, chi mi aiuta? Nessuno”.

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“Non siete soli”: l’abbraccio dei lettori agli alluvionati

Di Lucia Caretti, da La Stampa 10/10/20

Il primo abbraccio era arrivato dalla Valle Gesso. “Per gli abitanti della confinante Val Vermenagna”, scriveva un donatore anonimo già domenica mattina, alle 9 in punto. Un’ora dopo, altri 380 euro: “Una goccia di solidarietà a chi soffre”. Poi i 50 euro di Lorenzo: “Non siete soli, coraggio”. E la carezza di Luciana: 10 euro versati “con affetto, per la mia gente”. Come quelli di Tiziana: “Per la mia regione che amo”. “Siete un popolo forte e saprete rialzarvi come sempre” augura Paolo, donando 50 euro. Marco e Anna ne offrono 300: “Il nostro contributo per ripartire”. Da una settimana la catena di solidarietà dei lettori continua ad allungarsi: c’è chi pensa agli anziani alluvionati, chi chiede più prevenzione (“Coraggio, ce la faremo anche questa volta, ma che sia l’ultima”), chi ricorda “gli anni passati in val Tanaro”. “Non importa quante volte cadi, quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi. Forza Piemonte!” sprona un anonimo. E ancora: “Forza Limone!”, “Forza Granda!”, “Per la provincia di Cuneo, la mia terra”.

Quando si dona su questo sito si possono lasciare messaggi che vengono immediatamente pubblicati: si possono rileggere tutti cliccando qui. Sono pieni di amore e di speranza. Il segno concreto di una solidarietà che è fatta di parole, ma anche di assegni e di mattoni. Grazie a questi versamenti, infatti, Specchio potrà ricostruire scuole e infrastrutture, erogare decine di sussidi e stare accanto – davvero – a chi non si arrende. Quello che chiede un anonimo affidando i suoi 10 euro alla fondazione: “Li dedico a tutti coloro che nonostante le avversità della vita decidono di donare un sorriso agli altri”.

Garessio, il grido dei negozianti: “Aiutateci come nel ’94”

Di Paola Scola

Sembra un salto indietro nel tempo. Al novembre ’94, quando il Tanaro era uscito dall’alveo e aveva devastato le vie del centro di Garessio con tonnellate di fango, detriti, pietre e acqua. Via Polti, via Vittorio Emanuele, piazza Marconi. La mappa di un dramma che aveva cancellato anni di lavoro di decine di negozi, piccoli artigiani e botteghe. Nel 2016 il fiume ci aveva riprovato, sempre per colpa di quel ponte a tre arcate, “Generale Odasso”, al centro di un dibattito troppo lungo sulla necessità o meno di abbatterlo. Ma, nella notte tra venerdì e sabato, il Tanaro ha fatto sul serio. Ed è stato un nuovo disastro. E un colpo da “ko” per i commercianti del centro di Garessio. Che ora chiedono disperatamente aiuto.

Strappava il cuore, domenica, vedere giovani, anziani, donne e anche bambini – con gli scarponi incrostati di fango e gli occhi arrossati dal sonno – a cacciar via l’acqua e la melma dalle botteghe. Con i volontari delle associazioni, dall’Aib alla Protezione civile, affiancarli con le gomme per lavare il fango e le ruspe per portarlo via. Persone schiacciate dalla fatica, dal dolore, dalla disperazione di essersi visti sottrarre di nuovo tutto. Tutto quello che, già con fatica, avevano rimesso insieme 26 anni fa. E poi, ancora, nel 2016.

Stavolta in molti saranno costretti ad arrendersi, se non avranno un sostegno per rialzare le serrande. “Aiutateci – ha sussurrato un veterano fra i negozianti della via -. Sa che cosa conservo qui, al muro? La fotocopia dell’assegno di Specchio dei tempi, del ’94. Quello che mi ha aiutato a ripartire. Venga, ve lo faccio vedere. Ci sarete ancora vicini, vero?”. Non ha pianto nessuno, il giorno dopo. Tutti con le maniche rimboccate, ma poche speranze. “Fate sapere alla gente che è stata fortunata che cosa soffriamo un’altra volta – ha aggiunto una coppia, che alcuni giovani hanno aiutato con le scope a far uscire l’acqua e togliere la coltre unta dal pavimento del negozio -. Ma come possiamo ricominciare?”.

Tutti possono aiutare le popolazioni alluvionate. Il modo più semplice per contribuire è fare una donazione online, cliccando qui. Oppure si può versare con un bonifico bancario sul conto corrente intestato a Fondazione – La Stampa Specchio dei tempi, via Lugaro 15, 10126 Torino, Codice IBAN: IT67 L0306909 6061 0000 0117 200, Banca Intesa Sanpaolo, con la dicitura «Fondo 610 – Alluvione Piemonte». Qui sono spiegate tutte le altre modalità di donazione.

Cosa abbiamo fatto nel 1994

di Angelo Conti (febbraio 1995) 

Come avete distribuito i contributi? Come avete scelto le persone da aiutare? Come si sono mossi i giornalisti de la Stampa in questa particolare missione? E’ la legittima e partecipata curiosità dei 368.000 lettori che hanno contribuito, fino al momento in cui scriviamo queste righe alla sottoscrizione di Specchio dei tempi, arrivata a 23 miliardi e 200 milioni di lire.

Cerchiamo di rispondere partendo dall’inizio il primo allarme alla cronaca di via Marenco arriva nella notte fra venerdì 4 e sabato 5 novembre, riguarda la frana di San Raffaele Cimena con tre morti e gravi danni ed un casolare e ad un ospizio. Qualche ora dopo accanto alla grande macchina de La Stampa che ha già allertato i suoi inviati si mette in movimento anche il tam-tam della solidarietà. La domenica mattina e quindi ancor prima che l’alluvione tocchi Alessandria cominciano ad arrivare allo 011.65681 del nostro giornale le prime telefonate “Siamo pronti a contribuire!>, “Portate un aiuto a quella povera gente e fatelo subito!>. Scatta così, con le prime generose donazioni della Fiat del nostro giornale un’operazione che poi proseguirà senza soste per oltre 100 giorni. Gli inviati de La Stampa, una volta raggiunte le varie località spesso a piedi nel fango perché le strade erano sparite, riferiscono a Torino le singole situazioni. Così, insieme ai servizi di cronaca, aggiungono anche indicazioni per i primi aiuti che sono davvero fulminei. Basti pensare che il primo contatto con gli alluvionati più gravi di Alessandria avviene sul piazzale della Scuola di polizia al quartiere Cristo dove gli elicotteri dell’esercito sbarcano gente disperata appena salvata dai tetti delle case dei Quartieri Orti e San Michele.

Se nei primi giorni è soprattutto la redazione centrale a gestire gli interventi, subito dopo diventa importante il ruolo delle relazioni locali pronte a segnalare gli obiettivi più urgenti. Migliaia e migliaia di famiglie sono visitate ed aiutate in un commuovente porta a porta della solidarietà.

Intanto cominciano ad arrivare le richieste in tante telefonate. ma soprattutto tante lettere. Oltre 3000 queste ultime, molto struggenti. I giornalisti girano in Piemonte per settimane mentre ad Alessandria (grazie all’amministrazione Provinciale) viene addirittura aperta una sorta di sede staccata di Specchio dei tempi per ricevere ed ascoltare gli alluvionati. Il lavoro si fa mano a mano febbrile. I redattori impegnati sul territorio discutono i casi più complessi gli interventi più onerosi mentre la macchina dei soccorsi procede spedita ed arriva a 500 contribuzioni a giorno, tutte consegnate a mano, tutte verificate attraverso le autocertificazioni presentate ai Comuni, tutte accompagnate da un dialogo con gli alluvionati, a volte forzatamente breve ma sempre intenso. Parole di conforto, di solidarietà e di amicizia. La risposta è quasi sempre la stessa: “Ringraziate i vostri lettori”, “Abbracciateli”, “Sono stati meravigliosi”, frasi pronunciate con commozione spesso fra le lacrime.

Una parte importante del nostro sforzo la prende l’intervento nelle scuole. Migliaia di ragazzi che siano visti portare via libri e quaderni dall’acqua ricevono la borsa di studio da cinquecentomila lire sempre consegnata a mano nelle aule dei giornalisti de La stampa. Partono intanto alle contribuzioni per i grandi interventi. Come dimenticare il primo? Cioè il rifacimento della radiologia e della rianimazione dell’ospedale infantile di Alessandria? Con giornalisti. medici e primari che discutono le soluzioni da adottare con l’acqua ai piedi, in locali ancora grondanti o proprio nella stanza dove, qualche ora prima, un medico aveva trovato persino pesci cavedani arrivati con il Tanaro. Fare in fretta è un obiettivo preciso anche nelle opere a sostegno di asili e scuole.

Ad Alessandria la scuola materna di piazza Monserrato, che ospita anche i bambini poveri della città, è riattrezzata nel giro di un paio di mesi , e questo nonostante un’ondata alta più di un metro e mezzo l’abbia spazzata, distrutti locali come i refettori e le cucine. Più complesso ma ugualmente rapido l’intervento presso l’asilo delle Suore Immacolatine in via Colombo, nel cuore del disastrato quartiere Orti. Qui viene completato il ripristino delle strutture, compreso la sostituzione in blocco delle cucine così da consentire anche i trasferimenti in quella sede delle prime tre classi della scuola elementare Santorre di Santarosa. Quasi un miracolo è compiuto a Clavesana, dove in 90 giorni viene data stabilita alle strutture della scuola materna Madonna della Neve, gravemente lesionata e sono completamente attrezzate le aule. E si lavora alla ricostruzione del ponte sul Cherasca ad Alba, delle scuole materne di Asti e Canelli, del Plesso scolastico di Castello d’Annone, delle elementare di Santo Stefano Belbo.

Tianyi Lu vince il Premio Cantelli: “Ve lo dono, bisogna aiutare gli altri”

di Barbara Cottavoz, da La Stampa del 14 settembre

«Questo concorso mi ha salvato la vita: durante il lockdown ho perso tutti i miei impegni di lavoro e non riuscivo più a studiare per la tristezza della situazione che il mondo stava vivendo». Tianyi Lu, 30 anni, è  la vincitrice del Premio Cantelli per direttori d’orchestra, è la nuova erede del maestro novarese scomparso in un incidente aereo a Orly nel 1956. Lei, minuta e agguerrita, è nata in Cina, ha vissuto un decennio in Nuova Zelanda dov’è parte della sua famiglie, ha trascorso il confinamento in Inghilterra da sola e a giugno si è trasferita all’Aja ma parla anche un po’ di italiano. È direttrice d’orchestra in residenza alla Welsh National Opera e alla St Woolos Sinfonia nel Regno Unito e, fino allo scorso dicembre, è stata direttrice assistente della Melbourne Symphony Orchestra. Domenica al premio Cantelli Tianyi Lu ha anche vinto il Premio dell’Orchestra del Teatro Regio Torino e il Premio Giovani assegnato da una giuria di studenti e scritture artistiche per dirigere un concerto alla Fondazione Teatro Coccia e uno al Teatro Regio Torino.

Conosceva già il maestro Guido Cantelli?

«Ho scoperto la sua storia tanti anni fa e mi aveva colpito molto. Quando ho saputo dell’esistenza del concorso, on line, ho deciso di iscrivermi. Non era una competizione con gli altri ma con me stessa: ero in un momento molto triste».

Che cosa ha significato questo premio?

«Il Premio Cantelli per me ha significato la speranza nel futuro dopo mesi difficili in cui la pandemia aveva azzerato tutti i miei ingaggi e io non riuscivo nemmeno più a leggere la musica, vedevo tutto nero. Quando mi hanno invitato ho cercato di conoscere meglio Torino e Novara e mi ha colpito molto il coraggio con cui questa regione stava combattendo la pandemia. Così, fin dall’inizio, ho deciso che se avessi vinto avrei donato parte dl premio in beneficenza».

Chi ha scelto?

«Ho deciso di donare alla fondazione “Specchio dei tempi” perché sostiene gli anziani e le persone bisognose. In questo momento così difficile bisogna aiutarsi gli uni con gli altri. E’ naturale avere paura ma non dobbiamo smettere di avere fiducia».

Qual è stato l’aspetto più bello di questa esperienza?

«Ho adorato l’orchestra del teatro Regio: i suoi musicisti sono molto generosi e amichevoli e mi sono trovata in totale armonia con loro. Mi sono sentita a casa».

Sul podio lei sembra ballare…

«Quando salgo sul podio mi sento una bambina che gioca con la musica e scopre le sue infinite possibilità. Ogni volta parto per un viaggio con l’orchestra alla scoperta di questa meraviglia. Musica e arte devono sopravvivere, senza di loro rischiamo di dimenticare chi siamo».