La Stampa, 28/11/21
Beppe Minello
Orma Elisa ha 86 anni e, a suo modo, è fortunata: nella solitudine del suo alloggio popolare di via Orvieto può pensare alla figlia, alla nipote e ai figli di sua nipote, tre, l’ultimo dei quali, “compirà un mese tra poco”. Una gioia però, che finisce lì. Sfoglia le banconote della “Tredicesima dell’amicizia” che Specchio dei tempi le ha appena consegnato e il suo sguardo corre al muro dov’è montato il termostato dell’impianto di riscaldamento. “Non funziona e per i miei acciacchi devo tenere la temperatura un po’ più bassa altrimenti mi sembra di soffocare – dice nonna Elisa pensierosa – ora potrò sostituirlo”. Ma il proprietario è l’Atc, non dovrebbe provvedere l’Azienda? “Se mi rivolgessi a loro chissà quando li vedrei”.
Specchio dei tempi le ha donato un aiuto da 500 euro, lo stesso che entro Natale riceveranno 2000 anziani fragili a Torino e in Piemonte. Anziani come Elisa, che si emoziona per un nonnulla e non esce mai di casa: ha paura di rimanere chiusa nell’ascensore. Ma anche uscisse non avrebbe la forza, da sola, di muoversi e la strada per raggiungere qualsivoglia vetrina è lunga. Con la sua pensione di poco più di 600 euro (“Dopo 55 anni in fabbrica mi dissero di aver perso i libretti”), ampiamente dimezzata da affitto e bollette, nonna Elisa vive al limite. Un limite che la Tredicesima di Specchio le permette, almeno una volta, di violare.
Ripete come una filastrocca ciò che ogni giorno, per ragioni di salute e di risparmio, mette nel piatto, mezzogiorno e sera: “Pollo, sempre pollo. A volte una Rustichella tagliata a fettine”. In queste condizioni, anche solo immaginare di andare dal dentista per rimettere in sesto la bocca è un sogno irrealizzabile: “Mi hanno detto che servirebbero 2 mila, 2 mila 500 euro…Impossibile! C’ho rinunciato e resto così come sono”. Pure la televisione, unico svago in giornate che non finiscono mai, seguite da notti dove il sonno fatica ad arrivare, la fa soffrire. A forza di schiacciarli, i tasti del telecomando si sono consumati malamente, le fanno male ai fragili polpastrelli e la tv resta, a lungo, inutilmente accesa, fino a quando il dito di nonna Elisa riesce ad avere ragione dello stupido strumento.
Nonna Elisa, con i suoi problemi non solo economici e le sue fragilità, è un esempio dei sempre più numerosi anziani che vivono, anzi subiscono la città. E l’anagrafe ci dice che saranno sempre di più. Certo, tra i molto over di ogni latitudine, c’è chi vive in un tugurio e fatica a mettere qualcosa, qualunque cosa, nel piatto. Ma la stragrande maggioranza è come nonna Elisa. Hanno alle spalle una vita piena, anche di sofferenze, ma rivendicata con orgoglio: “Sono entrata in fabbrica a 17 anni – ricorda nonna Elisa -. Si lavorava a cottimo e pochi minuti di ritardo potevano significare il licenziamento”.
Non sono rare situazioni famigliari difficili. Anche in questo nonna Elisa ne è un esempio: “Mia figlia aveva 10 anni e mio marito se ne andò. E’ stato brutto. L’ho tirata su patendo fame e tristezze – racconta con un filo di voce -. Non mi sono mai rifatta una vita, ero concentrata sulla bambina, temevo di farla soffrire. Insomma, è stato brutto. Però è passata e tante cose è meglio non rivangarle anche se di notte, spesso, mi tengono sveglia”. Ma non tutti i ricordi sono dolore. Nonna Elisa, in camera da letto, di fronte alle foto delle persone care della sua vita compresa se stessa con i capelli tagliati corti come lo sono oggi ma di un biondo acceso e con grandi occhi sorridenti, finalmente si anima quando parla della sua passione di gioventù: “Ballavo, ballavo sempre. Dal Boogie Woogie al Tango: quanto mi piaceva”. E’ un sorriso timido quello che le fiorisce sulle labbra ma, appena compare, è già sparito.