Articolo di Lodovico Poletto pubblicato su La Stampa di sabato 27 luglio
Giacomo ha guardato il mondo da una finestra per metà della sua breve vita. Giacomo ha 1186 giorni (a ieri) e per 520 ha esplorato l’universo così, da dietro a un vetro chiuso al sesto piano dell’ospedale Regina Margherita. Reparto di Cardiologia, fatto nuovo grazie alle generose donazioni raccolte da Specchio dei Tempi. Ma è stato un bambino felice, a modo suo. Ha corso, sebbene soltanto per un metro e mezzo. E in tondo, stando attento a non urtare «La macchina». Ha imparato a parlare. Ha visto Babbo Natale. E mangiato la torta di compleanno. Ma, più di ogni altra cosa, ha imparato a nonaver paura dei dottori, delle siringhe, delle medicine.
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Giacomo è nato il 26 aprile del 2016: per 520 giorni, ha vissuto attaccato con un cuore artificiale, «La macchina», che è una specie di parallelepipedo con cavi e tanta elettronica che ha sostituito il suo cuoricino malato. Cinquecentoventi giorni. Poi una notte di qualche settimana fa la sua mamma Maria Teresa Colla, lo ha svegliato: «Giacomino, adesso ci prepariamo e vedrai che da domani tutto sarà diverso»: erano le tre quando l’hanno portato in sala operatoria. Giacomino sorrideva.
Il papà era a casa, a Cerrina Monferrato, nell’Astigiano, con le sue due sorelline: Giaele, la più grande che ha 5 anni e mezzo, e Rebecca che ne ha due. Giacomino non sapeva – e forse non saprà mai – che un altro bimbo, in un altro scampolo di d’Italia, nel Bergamasco, era volato nel paradiso delle anime belle, e il cuore che lui aspettava da così tanto tempo stava arrivando di corsa a Torino. Per lui. E lo avreb-
be liberato per sempre dalla «Macchina» che con i suoi cavi e tubi gli consentiva di correre soltanto in tondo. Per un metro e mezzo.
Ecco questa è la storia di Giacomo. Che tra un paio di settimane lascerà l’ospedale. E tornerà ad esser un bimbo come gli altri. Anche se, per tutta la vita, avrà a che fare con le medicine, dovrà essere sottoposto a terapia immunospressiva. Potrà fare tutto ciò che vuole: ma dovrà stare attento.
Carlo Pace Napoleone è il primario di Cardiochirurgia. Ed è un uomo di immensa umanità e che sa che con il cuore dei bambini non si scherza. E dalla finestra che si affaccia sulla terapia intensiva guarda gli altri bimbi che sono lì ricoverati. Dice: «Ci sono dei momenti nei quali il trapianto di cuore anche nei piccoli è fondamentale. Che soltanto così si possono risolvere i problemi. Ma serve una cultura della donazione. Bisogna farla crescere, farne capire l’importanza. Giacomo è vivo, sta bene e davanti a lui ha tutto il mondo da conquistare, grazie a quel gesto di generosità dei genitori di quell’altro bimbo
che non c’è più».
I termini medici in questa storia non servono. Perché qui conta soltanto la generosità e l’assistenza. Quella di chi ha donato. E quella che medici e infermieri hanno dato a Giacomo. Che non è l’unico bimbo del Regina Margherita che ha vissuto così, attaccato alla macchina. Ma è quello che c’è stato di più. È un baby record, forse a livello nazionale. Ma poco conta. Conta che in Italia ogni anno ci sono 25 interventi di trapianto del cuore di un bimbo, tre o quattro li fanno qui. Che in giro per il Paese ce ne sono 70 di bimbi che aspettano una donazione. Non tutti vivono grazie alla «Macchina». Ma tutti sperano. «E noi abbiamo sperato tanto. Abbiamo anche avuto paura. Ci sono stati momenti di sconforto: ma siamo qui. C’è una nuova vita davanti» dice mamma Maria Teresa. Che dire di più? «Grazie a chi ha donato. E a chi ha salvato Giacomino».